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Comunicato stampa del 28.11.17

Sabato 25 novembre nel corso del vernissage della mostra collettiva dei finalisti sono stati annunciati alla stampa e al pubblico i vincitori ed i menzionati della Sesta edizione del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee.

 

A vincere la sesta edizione del Premio Fabbri nella sezione “Arte emergente” è l’opera di Simone Monsi (Fiorenzuola D’Arda, 1988) che si inserisce nel variegato mondo della cultura post-internet, creando delle suggestioni sospese tra immaginario pop ed echi distopici. L’installazione, intitolata CAPITOLO FINALE: Let’s Forget About It Let’s Go Forward – From Meaning To Intensity, il ventiseiesimo episodio di Mani!! I Love Holding Hands – It’s okay for me to be here! (2016), presenta una forma totemica che la rende un monumento, ironico ed inquietante al tempo stesso, che celebra le mani al servizio (o forse in schiavitù) dello strumento informatico: se ad un primo sguardo le fattezze dell’opera possono apparire ludiche, in essa si cela una riflessione sui rapporti umani e sulla vacuità dell’esperienza mediata. Il lavoro è ricoperto da una serie di stampe digitali di immagini trovate su internet con l’hashtag #sunsetporn creando così una miscellanea visiva ipersatura e kitsch che oscilla tra romanticismo patetico e grottesco, superficialità e malinconia, quotidiano e disturbante.

 

Il lavoro di Marco Gobbi (Brescia, 1985) The Great Farini (2017) – che ha ricevuto la prima menzione della giuria – parte invece da una suggestione letteraria, dal libro Fondamenta degli incurabili (1989) di Iosif Brodskij: qui lo scrittore premio Nobel crea un parallelismo tra l’erosione dei palazzi di Venezia compiuta dall’acqua e la forma del merletto. Attraverso la tecnica del frottage l’artista ha trasferito su carta le superficie di alcuni edifici che poi ha tradotto in ricamo con l’antica tecnica del merletto, tipica dell’isola di Burano. Questo lavoro è una meditazione sul tema del tempo attraverso una duplice chiave di lettura: i segni che nei secoli l’acqua ha impresso nella città, ma anche la lentezza propria della perizia artigiana di quei saperi che vanno ormai scomparendo, soppiantati dall’omologazione e dalla logica del mercato. Riporta invece all’attualità il lavoro And it feels like home II (2017) dell’artista greco Nicolas Vamvouklis (Lesbo, 1990), che ha ricevuto la seconda menzione della giuria. Il video – un indugiare visivo su un gruppo di fenicotteri costretti dentro una struttura che impedisce loro di migrare – è ispirato ad un fatto di cronaca che ha visto i responsabili dello Zoo di Berlino isolare in via precauzionale alcuni animali per motivi sanitari. L’artista crea così un’allegoria della condizione dei migranti che, una volta arrivati in Europa, si trovano in campi di accoglienza dove subiscono forme di esclusione e di oppressione a causa di politiche nazionali mosse da motivazioni economiche ed immemori dei doveri di umanità e di accoglienza. Proprio l’isola natale dell’autore, Lesbo, in questi anni è tristemente nota come uno dei centri della crisi umanitaria in atto.

 

A vincere la sezione di “Fotografia contemporanea” è Alberto Sinigaglia (Arzignano, 1984) con il dittico composto da Teapot Cloud e Dominc Arkansas Cloud del 2016. I lavori fanno parte del ciclo Microwave City, un progetto che analizza la città di Las Vegas vista come un archetipo visivo della messa in scena permanente che genera un immaginario effimero destinato ad essere consumato rapidamente e che conduce all’impossibilità ontologica di distinguere chiaramente realtà e finzione. Le fotografie riportano la storia del Manhattan Project e dei test nucleari compiuti nel dopoguerra nella zona desertica fuori dalla metropoli americana: all’epoca si sviluppò un “turismo” della bomba, composto da curiosi che, dalle terrazze degli alberghi della città, potevano fotografare i fumi delle esplosioni lontane un centinaio di miglia. L’autore si è appropriato e ha manipolato alcuni scatti vernacolari dell’epoca, creando delle immagini che hanno una natura ambigua perché i fumi nucleari sembrano delle rassicuranti nuvole colorate alla base di un paesaggio dai contorni estetizzanti. Il risultato è quello di immagini “da cartolina” che serbano in sé delle verità inquietanti e che, proprio per questo, sono un perfetto esempio di come la fotografia sia un dispositivo complesso capace di mistificare il reale.

 

Claudio Beorchia (Vercelli, 1979) con Natura morta per scanner (2013) ha ricevuto la prima menzione della giuria nella sezione dedicata alla fotografia contemporanea. Il suo lavoro, realizzato durante una residenza in Cina, è una riflessione sulle politiche di controllo e sorveglianza presenti nel paese asiatico. L’artista ha creato in studio una composizione – una vera e propria natura morta – recandosi poi ad uno degli accessi della metropolitana di Shangai affinché fosse passata ai raggi X e, insinuandosi dietro l’operatore durante il controllo, ha furtivamente fotografato lo schermo del dispositivo di sicurezza. L’artista, così facendo, ha compiuto con grande ironia un gesto performativo di appropriazione di un’immagine che generalmente è riservata alla vista del personale di sorveglianza, privandola così di quella forma di dominio. Ad aggiudicarsi la seconda menzione è Marina Rosso (Udine, 1985) con Piano (2017), un’opera che ragiona sullo statuto stesso dell’immagine contemporanea. L’autrice indaga il concetto di iperrealtà – caro al filosofo francese Jean Baudrillard – che riporta all’incapacità della società di distinguere la realtà dalla simulazione. Per questo l’artista, pur realizzando una fotografia mimetica (una macchina che coglie le sembianze di un soggetto), ne estremizza la post-produzione fino a farla sembrare una grafica 3D non afferente al reale, così a metterne in dubbio la natura. Il fruitore è dunque chiamato ad interrogarsi sui processi delle rappresentazione per arrivare a possedere uno sguardo maggiormente consapevole e critico.

 

Ad aggiudicarsi il Premio speciale TRA / Ca’ dei Ricchi è invece andato a Francesco Maluta (Lovere, 1983) con Nottata rocciosa del 2017. L’opera mostra come l’immagine della comunicazione non verbale di due galli possa provocare riconsiderazioni sull’uomo e sulle effettive relazioni tra le specie, ragionando su quali siano i nostri modelli per riconfigurare la società e il nostro rapporto con l’ambiente in senso lato.

 

I vincitori hanno ricevuto un premio acquisto di 5.000 euro e i loro lavori sono entrati a far parte della collezione della Fondazione Francesco Fabbri Onlus, che li custodirà a Casa Fabbri, il centro residenziale teatro di numerosi eventi. I lavori finalisti rimarranno esposti fino al 17 dicembre nella mostra collettiva di Villa Brandolini, curata da Carlo Sala.

 

Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee
a cura di Carlo Sala
Villa Brandolini, Solighetto di Pieve di Soligo (Treviso), Piazza Libertà n°7
25 novembre – 17 dicembre 2017.

 

Il Premio è promosso dalla Fondazione Francesco Fabbri in collaborazione con il Comune di Pieve di Soligo. È inserito nel palinsesto regionale RetEventi Cultura Veneto 2017 per la Provincia di Treviso; con il patrocinio di TRA e Landscapestories.

 

Orari di apertura: venerdì e sabato 16.00-19.00; domenica 10.00-12.30 e 16.00-19.00.
Ingresso libero.

 

Per Info: premio@fondazionefrancescofabbri.it

Note biografiche vincitori

 

Simone Monsi (Fiorenzuola d’Arda, 1988) è un YIBA Young Internet-Based Artist e nel suo lavoro esplora la sensibilità delle culture giovanili e la loro rappresentazione su piattaforme di microblogging, dalle quali estrapola immagini e contenuti virali. La sua costante attività di blogging diventa così un metodo per indicizzare collezioni dinamiche composte di popolari frasi melanconiche, fermi immagine di Evangelion e gif post-porno; mentre la scultura, l’installazione e i social network sono momenti di un unico processo creativo che porta le opere a diventare esse stesse immagini virali una volta ripostate online.

 

Tra le mostre più significative a cui ha partecipato negli ultimi anni si segnalano le mostre personali Spero che questo trasloco sia l’ultimo (Placentia Arte, Piacenza, 2017) e Like Mops on the Beach (Green Ray, Londra, 2016) e le mostre collettive Deposito d’Arte Italiana Presente, a cura di Ilaria Bonacossa e Vittoria Martini (Artissima, Torino, 2017), Utopias are more or less fascistic, a cura di Roxane Bovet (Nicolas Krupp, Basilea, 2017), Cyphoria, a cura di Domenico Quaranta (16a Quadriennale d’arte, Roma, 2016). Inoltre, nel processo di ricerca dell’artista ricoprono un ruolo di primo piano il fandom www.stillsfromevangelion.tumblr.com e il blog www.trailsarethenewclouds.tumblr.com.

 

Ha da poco concluso un MFA presso Goldsmiths University di Londra. Vive e lavora a Milano.

 

Alberto Sinigaglia (Arzignano, 1984) ha ottenuto la laurea in architettura presso l’Università Iuav di Venezia, proseguendo poi la sua formazione a Milano nell’ambito della fotografia. Successivamente ha frequentato inoltre il Photoglobal Program presso la School of Visual Art di New York.
È stato finalista di diversi premi tra cui il Premio Fabbri Per le Arti Contemporanee (2013-14), il Premio Fotografia Italiana Under 40 (2015), il Premio Gabriele Basilico (2015) ed il Talent Prize 2017. Nel 2014 è stato selezionato tra i vincitori della 98ma Collettiva Giovani Artisti della Fondazione Bevilacqua La Masa, nel 2015 ha ricevuto una menzione d’onore dal Premio Graziadei e nel 2017 ha vinto il Premio Fattori Contemporaneo del Combat Prize.
Tra le mostre a cui ha partecipato ricordiamo “Le Cose Che Si Vedono In Cielo” a cura di Ilaria Campioli (Fotografia Europea /2015), “La Disfatta dell’Immagine” a cura di Carlo Sala ( TRA – Treviso – 2016), “Look Up At The Sky” curata da Pedro Torres (Terrassa-Barcellona / 2016) e la mostra personale “Big Sky Hunting” curata da Stefano Graziani presso Metronom (Modena / 2015). Dal 2015 è tra gli editor di Genda Magazine.
Vive e lavora a Vicenza.